E’ un detto comune che la vita è un mistero: e nessuno può negarlo. Anche ogni individuo è un mistero. Non credo che possiamo dire di conoscere veramente qualcuno, anche se siamo in familiarità, e neppure intimità con un limitato numero di persone. Di più: ognuno è un mistero a se stesso.

Tuttavia è dentro a quast’aura di tanto insperabile quanto desiderata conoscenza che di fatto ognuno si muove e costruisce la storia della propria vita. Per questo abbiamo bisogno di punti di riferimento, che partono ovviamente dall’ambiente famigliare e si allargano con l’età alle relazioni personali più o meno ampie, sia attraverso i contatti diretti con altri individui, sia con l’elaborazione di rappresentazioni che, sempre per rifarci al linguaggio comune, spiegano quello che ci succede, danno un senso al sempre più preponderante passato e rispondono alle aspettative e alle ansie per ciò che ha da venire, così creandoci una nostra personalità, che a sua volta entra nel gioco delle infinite variabili essa stessa, nella sua ridicolmente microscopica limitatezza, se considerata in rapporto al tutto, che si rovescia naturalmente e a pieno dritto in fondamentale essenza nella prospettiva individuale.

Ho avuto occasione, nella mia storia della mia vita, di conoscere Giuseppe. Prima come teologo “d’avanguardia”, poi come amico con cui, credendo di discutere dell’assoluto, ho imparato che stavo semplicemente formando la mia Weltanschaung nel confronto con la sua. Poi l’ho visto diventare marito, padre, e quindi – diciamo così – una “persona normale”, che combinava la sua formidabile cultura con una sua esperienza più o meno comune con tutti noi, o quasi. Certamente il suo lavoro non era come il mio, che mi portava sì a vedere molto del mondo, ma non consisteva nella possibilità, come lui era riuscito a realizzare, di usare la sua notevole creatività per pubblicare libri di biblistica, una disciplina che combinava in un modo molto fortunato scienze così evanescenti come la teologia e la filosofia con altre così concrete come la storia, l’archeologia, la filologia, la critica ai testi letterari.

Ma questa rimane una descrizione tutto sommato ancora elencatoria di Giuseppe seppure, per chi non l’abbia conosciuto, ne delinea già alcune delle qualità caratteristiche non secondarie.

Vorrei aggiungere quello che è a mio parere più importante e quindi meno facile da spiegare. Ho già chiarito che il mostruoso, direi, bagaglio culturale di Giuseppe non era quello che oggi potremmo definire un data-base: lui lo acquisiva, lo elaborava e lo assimilava, rendendolo veramente parte di sé. Questo faceva sì che, ogni volta che ci si confrontava con lui, non si aveva la sensazione di essere sopraffatti, come accade molto di frequente in colloqui con eruditi in genere; avevo invece l’impressione che ogni proposta o domanda che gli facevo non fosse per lui una sfida per dimostrare di aver ragione, ma una vera provocazione positiva che gli permetteva di mettere alla prova le sue idee, con la disponibilità sincera anche a modificarle, perché il dialogo per lui sembrava essere un’occasione di sviluppo di conoscenza, e non certo una gara di personalità.

E questo porta ad elencare le altre tre caratteristiche di Giuseppe che ricordo con maggiore forza e piacere. Una era l’ironia che in lui andava in stretta compagnia, naturalmente, con l’autoironia, che vuol dire una capacità di attenzione a quel tipo di emotività che spesso mal consiglia, sia in ambito culturale in genere, sia nello stesso ambito affettivo e relazionale, aggiungendo il divertimento, la battuta. Un’altra caratteristica era la curiosità e la disponibilità allo stupore: a volte, sembrava lui stesso contemplare le cose che diceva, mentre volgeva lo sguardo in alto, così che altri mezzi immaginativi dovessero sostenere il suo linguaggio, pur così preciso e strutturato, che in quei casi si lasciava andare a punti di sospensione…..

Tutto questo credo faccia luce sull’ultima caratteristica di Giuseppe che vorrei indicare qui: la partecipazione, la simpatia, nel senso di traporto e apertura verso l’altro, perché l’altro, come lui, è qui per condividere, costruire insieme, perché è uguale, nel suo mistero.

Ora, non possiamo che immaginarlo come siamo capaci, nel suo mistero, infittito da quell’esperienza che vivremo tutti, la morte. Però, proprio nello spirito di quella relazione così bella, intensa e amichevole che ho instaurato (e che non può essere spezzata nemmeno da un evento tanto forte come la morte) con Giuseppe, vorrei terminare con un po’ di quella ironia che ho tanto apprezzato in lui, ricordando, sia pure con la massima possibile concisione, una piccola storia che mi sembra mi avesse raccontato proprio lui.

Dopo la morte, un ateo si rende conto che c’è un al-di-là, e che sarà doverosamente inviato all’inferno. Con sua grande sorpresa scopre che l’inferno dove viene a trovarsi è un luogo bellissimo, sereno e pieno di tanta gente piacevole e cortese, tra cui sue vecchie conoscenza, atee in vita pure loro. Si chiede se ci sia un trucco, perché ne aveva descrizioni molto più spaventose. Un giorno scopre, dietro a una catena rocciosa sulla quale riesce a fatica ad arrampicarsi, una grande distesa di sangue, fuoco, mostri, zolfo fumante, con anime urlanti, piangenti e disperate. Corre da un suo amico, con una grande angoscia, a chiedergli chiarimenti, perché teme che all’improvviso dovrà confrontarsi con quell’orrore che supre di molto ogni orrore immaginabile nel mondo dei vivi. L’amico ridacchia e gli dice: “Ah, sei arrivato a vedere l’inferno dei cattolici, lascia perdere, roba loro!”.

Non sappiamo se, ed eventualmente come, ci sia qualcosa che dia un senso alla nostra vita fosse solo al momento della nostra morte, e quindi non so se ci sia una ripartizione in regni di espiazione e ricompensa nei termini che abbiamo credo tutti visto nelle incisioni del Doré, o che altro. Però mi sembra che quella storiella dia un suggerimento accettabile ai minimi termini: la nostra vita ci può dare una chiave per questo mistero; il modo in cui viviamo sarà il modo in cui vivremo la morte. Io posso solo immaginare Giuseppe in una dimensione diversa, forse di comprensione, ma forse, più probabilmente, di continua ricerca, sempre più avanzata, che gli permetta di esercitare infinitamente quel suo gusto per il meraviglioso che tanto dimostrava nella sua vita con noi e che ha donato anche a me.

Alfredo Cavalli

Comunità del Carmine di Voghera

Alfredo Cavalli, Comunità del Carmine di Voghera