Una cosa sappiamo di Giuseppe, che, come dice il cieco nato del Vangelo, prima eravamo ciechi, e adesso ci vediamo. Vediamo le Scritture, le leggiamo con occhi nuovi, in modo pacificante e liberante.

Sono stato colpito, il 26 febbraio, dalle belle testimonianze e dal gran numero di presenze alla liturgia che abbiamo celebrato per Giuseppe e con Giuseppe a dieci anni dalla sua morte. E mi sono posto una domanda. Mi sono chiesto se in questo concorso di tanti nel ricordo di Giuseppe non si celi un mistero, un interrogativo che forse già poteva essere formulato negli anni scorsi, quando abbiamo visto, in quei convegni teologici organizzati da Carla nella memoria di Giuseppe, tanta partecipazione di persone e affluenza di messaggi, non solo dall’Italia ma anche da luoghi lontani, così come anche ora ci giungono dai missionari del PIME, perfino dal Bangladesh.

Perché il ricordo di Giuseppe è così vivo, e perché siamo così tanti a testimoniarlo e anche contenti di esternarlo, di renderlo visibile?

C’è una risposta facile, ma non esauriente: è l’amicizia, è l’amicizia di cui Giuseppe era capace e che noi avevamo per lui.

Ma, appunto, questa risposta non basta. Forse c’è qualcosa di più, forse c’è un dono speciale che Giuseppe ci ha fatto e di cui noi non smettiamo di essergli grati. Anzi un dono che egli ha fatto non solo a noi, ma alla Chiesa italiana, anche se la Chiesa italiana non gliene ha reso onore come avrebbe dovuto.

Questo dono io credo che sia quello stesso che il cieco nato proclama di aver ricevuto nel Vangelo che abbiamo letto nella liturgia per Giuseppe: chi sia quest’uomo non lo so – dice – ma una cosa so, che prima ero cieco e adesso ci vedo. Noi eravamo ciechi, e Giuseppe ci ha aiutato a vedere. E a vedere qualcosa di molto importante per la nostra vita; come molti grandi testimoni della Parola, ci ha aiutato a vedere le Scritture e a vederle come prima, essendo ciechi, non le vedevamo.

Perché non basta che le Scritture siano lì: tutto dipende da come le leggiamo.

Oggi anche le Scritture sono segno di contraddizione, ragione di conflitto nella Chiesa. Forse è stato sempre così, ma oggi la partita si gioca intorno al papa, a papa Francesco. Quelli che contrastano papa Francesco vorrebbero che leggesse il Vangelo in un altro modo, e non così continuamente. Vorrebbero che noi leggessimo il Vangelo in modo amaro, costrittivo, precettistico, e con una lettura immutabile, fissista, senza vita.

Per citare solo un episodio recente, mi riferisco a una bellissima intervista rilasciata dal nuovo Superiore generale dei Gesuiti, padre Sosa, a uno di quei siti di cattolici zelanti e integralisti, che fanno la guerra a papa Francesco. Il giornalista, a proposito dell’esortazione “Amoris laetitia” , ha cercato di prendere in castagna il gesuita, di metterlo in contraddizione col Vangelo, usando le parole con cui Gesù si mostrava più esigente della legge di Mosè e condannava il ripudio. Il gesuita ha risposto con tutta la sapienza che la coscienza della Chiesa ha guadagnato nella lettura delle Scritture, dicendo che bisogna vedere il contesto in cui Gesù ha pronunziato quelle parole, e quali fossero in profondità quelle parole, visto che allora non c’erano registratori in cui esse fossero imprigionate per sempre. Naturalmente l’intervistatore ha mostrato grande scandalo, ignorando secoli di critica biblica e tutta la tradizione del rapporto dinamico della Chiesa con la Scrittura. Loro vogliono fare della Scrittura un’arma da brandire nella Chiesa e una camicia di forza per toglierci la nostra libertà.

Ebbene, Giuseppe ci ha fatto vedere le Scritture con altri occhi; ce le ha fatte leggere in modo pacificante e liberante, ci ha insegnato a giocare su di esse, in modo responsabile e critico, la nostra esperienza cristiana. La Pontificia Commissione Biblica ha scritto in tempi non sospetti, nel 1993, che una lettura fondamentalista della Bibbia è “un suicidio del pensiero”. Giuseppe ci ha fatto vedere come leggere la Bibbia senza suicidarci. Quello che dice la seconda lettura della liturgia celebrata per Giuseppe, dal primo libro di Samuele, e cioè che “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore», vale anche per la Bibbia; e con tutto il suo studio ma anche con la sua fede Giuseppe ci ha aiutato a non fermarci all’apparenza di ciò che dice la Scrittura, ma a penetrare e a cogliere il suo cuore. Per questo, nella preghiera dei fedeli, abbiamo ringraziato Dio perché Giuseppe, approfondendo la sua Parola, ci ha svelato il mistero della sua misericordia, sicché grazie a lui molti che prima erano ciechi ora ci vedono.

Raniero La Valle, Roma