La ricorrenza ormai decennale del decesso di Giuseppe Barbaglio, rinomato studioso nel settore delle origini cristiane, ridesta nostalgie e rinnovati apprezzamenti della sua figura. Le righe che seguono sono il ricordo di un amico e collega.
Avevo personalmente conosciuto Giuseppe Barbaglio al Seminario Lombardo di Roma, quando eravamo entrambi alunni di Teologia all’Università Gregoriana all’inizio degli anni 1960. Lui frequentava già dei corsi superiori, avendo tre anni più di me, e si laureò sul tema «Fede acquisita e fede infusa secondo Duns Scoto, Occam e Biel» (con pubblicazione nel 1968). Fin da subito mi conquistò la sua robusta dimensione umana e intellettuale, quella di un ‘senior’ nel senso più nobile del termine, che sapeva coniugare la sapienza del passato con stimolanti aperture al futuro del cristianesimo e della chiesa. Anch’egli non disdegnava la mia amicizia. E così continuò anche in seguito, quando ci incontravamo alle settimane bibliche nazionali. Intanto egli pubblicava I Salmi insieme a L. Commissari ed E. Galbiati (Ed. Queriniana 1972), L’anno della liberazione (id. 1974), un commento al Vangelo di Matteo nel volume in collaborazione con B. Maggioni e R. Fabris su «I Vangeli» (Ed. Cittadella 1975), e curava insieme a Severino Dianich il «Nuovo Dizionario di Teologia» (Ed. San Paolo 1977; riedito in forma completamente nuova nel 2001 con l’aggiunta di un terzo curatore nella persona di Giampiero Bof).
Il nostro vicendevole rapporto divenne più stretto quando nel 1980 egli pubblicò un commento continuo alle lettere paoline in tre volumi presso la Borla (i primi due erano suoi, il terzo di Rinaldo Fabris) e io ne feci una presentazione elogiativa su L’Osservatore Romano. L’opera ebbe una seconda edizione nel 1990, ma intanto nel 1985 Barbaglio aveva dato alle stampe uno studio rigoroso su Paolo di Tarso e le origini cristiane, che resta uno dei contributi migliori per la conoscenza dell’Apostolo e della sua «Wirkungsgeschichte» fino a tutto il II° secolo. Prendeva così sempre più forma una preferenza per la figura di Paolo e per i suoi scritti, che in seguito lo porterà ancora a curare la traduzione in due volumi di tutte le lettere paoline presso la Rizzoli/BUR (San Paolo: Lettere, 1997).
Intanto, mentre curava presso le Edizioni Dehoniane di Bologna la pubblicazione di preziose «Schede bibliche pastorali» in otto volumi (1982-1987), egli diede inizio a una nuova collana presso le stesse EDB dal titolo «La Bibbia nella storia», caratterizzata da una presentazione dei vari scritti biblici, considerati a gruppi omogenei e soprattutto collocati nel loro proprio ambiente culturale, sia delle origini, sia delle successive riletture ecclesiali. Stante anche il fatto che il primo volume a uscire nel 1984 fu mio («L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata», 62012), si era consolidata tra noi una intesa molto forte.
Ciò lo condusse a propormi di dirigere insieme a lui un’altra bella collana da lui stesso ideata, «Scritti delle Origini Cristiane», pubblicata presso le EDB, purtroppo non terminata. L’originalità del nuovo progetto editoriale consisteva nella programmazione di tutti gli scritti del primo secolo di letteratura cristiana (prodotti tra la metà del secolo I° e la metà del II°); di ciascuno di essi viene offerta l’introduzione, la traduzione e il commento a opera di specifici studiosi, e hanno visto la luce una dozzina di volumi (su una trentina di progettati). In ogni caso, si manifestava sempre di più quel suo taglio di studioso e insieme di attualizzatore del testo biblico, che, pur individuando nettamente il proprium del messaggio biblico, tendeva a non creare né contrapposizioni tra fede e cultura né steccati tra dimensione sacrale e ‘laico-mondana’. Infatti, nel 1987 pubblicò un bel volumetto, La laicità del credente: interpretazione biblica (Cittadella), il cui titolo, secondo un suo successivo ripensamento, avrebbe dovuto meglio esprimersi appunto in termini di mondanità in quanto il cristiano vive ad occhi aperti in questo mondo; ad esso avrebbe poi fatto seguito Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane (Cittadella 1991), che faceva giustizia di un increscioso luogo comune popolare.
L’adesione rigorosamente scientifica all’originale testo greco del Nuovo Testamento condusse Barbaglio a pubblicare anche una accurata edizione bilingue del NT stesso, costituita dall’affiancamento in un solo volume della classica edizione critica di A. Merk e della versione italiana curata dalla CEI (poi rifatta nel 2008). Il suo lavoro non consistette soltanto nel collocare semplicemente faccia a faccia i due testi, poiché egli, con pazienza e acribìa certosine, dotò anche la pagina italiana di un eccellente apparato di note critiche, in cui confluirono, oltre alla versione italiana di tutte le varianti critiche riportate dal Merk, anche il riporto integrativo delle più importanti scelte dell’edizione critica di Nestle-Aland e diversi miglioramenti dello stesso testo CEI. Ne risultò uno strumento particolarmente utile per gli studenti delle Facoltà teologiche e per quanti amano confrontarsi direttamente con il sapore autentico delle fonti. Ricordo che nella presentazione dell’opera, avvenuta alla Gregoriana nel febbraio del ’91, paragonai il lavoro di Barbaglio, nuovo ‘amanuense’, alle «ricerche accurate» di cui parla Luca (cf. Lc 1,3) e alla «molta pazienza/fermezza» sostenuta da Paolo (2Cor 6,4).
Gli ultimi anni di Barbaglio furono riempiti dalla elaborazione e dalla stesura di cinque nuove opere molto significative, tutte presso le EDB. La prima è un poderoso commento a La prima lettera ai Corinzi (1995; con 931 pagine), facente parte della suddetta collana «Scritti delle Origini Cristiane». Questo fu il suo personale contributo alla collana da lui stesso ideata; e in Italia resta finora il commento più ampio all’importante lettera paolina. In esso confluiscono vari aspetti propri dell’autore: la minuta indagine filologica, l’erudita considerazione dell’ambiente culturale, la passione per l’individuazione delle linee teologiche del pensiero paolino, e l’attenzione per la dimensione ecclesiale sia della comunità corinzia sia della lettera ad essa indirizzata. Per studiare la 1Cor è ormai impossibile prescindere da questo lavoro, in cui si possono trovare materiali utilissimi per l’approfondimento dello stile epistolare dell’Apostolo e del suo impegno missionario e pastorale.
Altra opera importante è La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare (del 1999; con 783 pagine). Nella sua presentazione, avvenuta nell’Aula Magna della Facoltà Valdese di Teologia, ricordavo i punti che rendono impegnativo scrivere una ‘teologia’ di Paolo, cioè delimitare le sue fonti (escludendo sia gli Atti lucani sia le lettere deutero-paoline, come appunto faceva Barbaglio), individuare un eventuale centro portante nonostante la diversità delle scelte dei paolinisti (i concetti di giustificazione? o di partecipazione? o di riconciliazione? o di kerygma?), e rilevare una eventuale evoluzione o esplicitazione interna alla formulazione del pensiero dell’Apostolo. Contemporaneamente mettevo anche in luce la validità dell’impostazione offerta da Barbaglio, quella cioè di offrire la teologia propria di ogni singola lettera autentica, invece che un quadro generale unitario: in questo modo, infatti, si ottengono alcuni vantaggi, che sono l’esclusione di una impostazione sistematico-dogmatica, il rifiuto di erigere una lettera-modello sulle altre, e la piena valorizzazione della situazionalità del pensiero teologico dell’Apostolo.
Il terzo lavoro è stato Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica (del 2002; con 671 pagine), che voleva offrire un profilo completo, sia della storia e metodologia della ricerca, sia soprattutto della stessa figura storica del Nazareno. Ai risultati raggiunti e prospettati da Barbaglio si oppose qualche voce critica, che lamentava alcuni tagli inferti alla storicità di fatti e di detti attribuiti dai vangeli al Gesù terreno, come l’impiego della qualifica di «figlio dell’uomo» in quanto giudice escatologico, attribuito da Barbaglio alla chiesa primitiva, o il giudizio sulla genesi della fede pasquale, ricondotta a visioni soggettive di Pietro e compagni. È vero che ogni approccio a Gesù per ricostruirne l’effettiva fisionomia storica cozza contro i limiti delle antiche narrazioni e si espone inevitabilmente a puntualizzazioni critiche. Ma l’opera di Barbaglio si distingue comunque nel panorama delle produzioni italiane in materia come uno dei tentativi più organici e aggiornati tra gli studi più recenti a livello internazionale, anche se non pone fine agli interrogativi ermeneutici concernenti quel singolare ebreo di Galilea.
Nel 2004 Barbaglio pubblicò poi l’originale studio su Il pensare dell’apostolo Paolo (di 328 pagine), con cui egli volle integrare il precedente volume sulla teologia epistolare di Paolo, mostrandone ora l’unitarietà. Vi si esaminano prima le caratteristiche formali del pensare del’Apostolo (provocato e provocatorio, argomentante ed ermeneutico) e poi si dettagliano le componenti del suo vangelo, incentrate essenzialmente sia sulla elezione gratuita e sulla imparziale giustizia di Dio sia sul tema di una inedita libertà per i Gentili acquisita mediante la croce di Cristo.
L’ultimo libro scritto da Barbgalio, e pubblicato pochi mesi prima del suo decesso, è stato Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso. Confronto storico (2006; con 312 pagine). È come se egli avesse finalmente tirato le fila della sua lunga ricerca su Gesù e su colui che ne appare l’interprete più originale e fecondo. Nell’insieme vengono tratteggiate discontinuità e continuità. Tra le prime Barbaglio annovera il mutato ambiente geo-culturale, il diverso annuncio su Dio (la sua regalità in Gesù, il Dio che risuscita il crocifisso in Paolo), l’identità di Gesù stesso (da una parte un uomo dalla portata escatologica, dall’altra il Signore dei vivi e dei morti), e l’orientamento etico incentrato sull’amore (che però in Gesù resta un comandamento, mentre in Paolo è il frutto dello Spirito in noi). Le contiguità principali sono identificate nell’immagine di un Dio che include gli esclusi, e in una prospettiva escatologica che si oppone alla visone dualistica delle apocalissi, sicché già l’oggi del credente nel mondo non è tempo di tenebra e di male da cui rifuggire ma è già tempo di grazia luminosa di cui fruire, sia pure nella speranza di un Oltre ancora da venire.
Nelle sue esposizioni sempre Barbaglio si serve di un linguaggio mirabilmente efficace, pulito e incisivo, a volte felicemente ricercato, sempre piacevole, che contribuisce non poco alla godibilità della lettura e persino alla sua memorizzazione.
La sua scomparsa è stata una perdita per tutta la cultura italiana. Ma la sua produzione resta la testimonianza sempre viva di una personalità di primo piano, i cui frutti certamente non verranno meno.
Romano Penna
Professore emerito
Pont. Università Lateranense

Romano Penna, Roma