VASTI

Che cos’è umano?

Scuola di ricerca e critica delle antropologie

Seminario 1 aprile 2001

Franco Rodano e l’antropologia signorile

di Giuseppe Barbaglio

Giuseppe Barbaglio: Già nel 1988 avevo scritto un articoletto sulle Lezioni di storiapossibile” di Franco Rodano1, pubblicato su “Bozze” (nel numero 1/2). In questi giorni ho ripreso quel volume e adesso vi presento alcune linee fondamentali di questa sua interpretazione di Paolo, che è abbastanza originale e anche molto stimolante.

Innanzitutto, Franco Rodano si pone in una posizione critica nei confronti di una antropologia signorile, del signore. Questa antropologia signorile, dice Rodano, è sottesa a una storia (lui distingue tra la storia e l’ideologia che sta alle spalle). L’antropologia signorile è sottesa a una società che è sotto il segno del signore: ci sono i signori e ci sono i servi di questi signori. La società signorile non è presente soltanto nell’antichità, attraverso l’istituto classico della schiavitù, ma anche nel Medioevo, dove l’influsso cristiano ha mitigato la durezza dei rapporti, lasciandoli però inalterati: restano cioè i signori e restano i servi. E infine anche la società moderna è sotto il segno di questa antropologia signorile; perfino il marxismo, dice Rodano, è inficiato da questa visione dell’uomo come signore, con la differenza che Marx era proteso verso un assoluto di un’umanità fatta di tutti signori, tutti liberi di una libertà assoluta, liberi dalla costrizione del lavoro. In un testo Rodano dice che i due grandi malati dell’assoluto, di questo uomo senza confini, senza limiti, senza costrizioni, sono da una parte il cristianesimo, con la sua escatologia trascendente, e dall’altra Marx, con la sua antropologia signorile immanente alla storia.

Questo è un presupposto, tutto sommato, nel volume di Franco Rodano. La sua preoccupazione principale, su questo sfondo, è di immaginare una storia possibile. Una storia che non è avvenuta, perché l’antropologia signorile, anche attraverso tutti i mutamenti della società, si è mantenuta inalterata. Invece poteva esserci un’altra storia; una storia possibile causata (Rodano parla di questa causazione ideale della storia) da una antropologia antisignorile, o ancora meglio, da una antropologia non signorile. Egli distingue una antropologia antisignorile, che mette in discussione il signore, e una antropologia non signorile, cioè del superamento, non solo della contestazione; propone cioè una antropologia alternativa, che potremmo chiamare, anche se lui non usa questo termine, antropologia “servile”.

Questa antropologia non solo antisignorile, ma non signorile, cioè alternativa, la trova in Paolo e sceglie Paolo perché nei suoi testi c’è un pensiero anche riflesso. Non voglio parlare dei testi evangelici, dice Rodano, nei quali il discorso religioso è diretto e quasi esclusivo: nei testi di Paolo, invece, c’è una densità di pensiero e un pensiero riflesso. Afferma Rodano: i testi paolini non li leggo come un teologo, cioè non sono interessato in questa sede a presentarne il contenuto religioso e teologico. Implicito in questi testi c’è un messaggio laico; in questa teologia è implicita una antropologia; a volte dice che questa antropologia diversa è deducibile da questi testi, a volte dice che può essere basata su questi testi. Usa cioè formule diverse: a mio avviso, c’è un ondeggiamento e una mancanza di precisazione; in effetti ogni discorso teologico suppone un quadro antropologico, una antropologia.

Per esempio, il discorso teologico sul destino dell’uomo, sull’escatologia, suppone un’antropologia. Per cui abbiamo due prospettive escatologiche: nell’inno della Sapienza c’è il destino della immortalità beata, che suppone una antropologia di tipo dualistico (cioè l’uomo è essenzialmente un’anima: “le anime dei giusti sono nelle mani del Signore” e quindi non temono la morte), e c’è in Paolo una escatologia corporea, somatica, della totalità, che è all’insegna della resurrezione. Ed è la resurrezione dell’uomo nella sua totalità, non di una sola parte: l’uomo muore e risorge. Questa escatologia suppone una antropologia somatica, in cui l’uomo è un essere unitario pluridimensionale, per cui la morte e la vita colgono la totalità dell’uomo.

Dice Rodano: dietro questi testi teologici di Paolo trovo (questa è la formula abbastanza generale che usa, anche se non è molto precisa) una antropologia: una antropologia antisignorile, e soprattutto una antropologia non signorile. I testi che lui analizza sono innanzitutto la Lettera ai Galati (3, 26-28), dove Paolo dice: “Infatti voi siete figli di Dio, mediante la fede che è in Cristo Gesù. Quanti infatti sono stati battezzati in Cristo, hanno indossato Cristo. Non c’è giudeo, greco, non c’è schiavo, libero, non c’è maschio, femmina. Tutti voi siete un solo essere in Cristo Gesù”. In questo testo emerge una eguaglianza. Rodano distingue una eguaglianza assoluta e una eguaglianza fondamentale, ma non assoluta. L’eguaglianza assoluta è quella che toglie di mezzo radicalmente ogni signore. Qui si parla di figli di Dio: noi siamo tutti figli e quindi non c’è nessun padrone, nessun signore; questa è l’eguaglianza assoluta. Invece, in altri testi abbiamo una eguaglianza che non è assoluta, ma fondamentale, nel senso che c’è un signore, un kurios, divino, celeste, e noi siamo tutti con-servi. Questa eguaglianza è fondamentale, ma non assoluta, perché c’è pur sempre un signore di riferimento.

Questo testo, dice Rodano, per la sua radicalità dovrebbe togliere di mezzo ogni concezione del signore. Però, lui nota, giustamente a mio avviso, questa eguaglianza si colloca dentro un contesto religioso: è una eguaglianza affermata in questo spazio religioso che è Cristo, per cui siamo tutti un unico essere in Cristo, siamo tutti dentro questa sfera. Quindi, è una eguaglianza confinata dentro un quadro teologico-religioso. Paolo vuol dire: quanto al destino di vita e di morte, quello decisivo dell’uomo, non si fa discriminazione alcuna tra schiavo e libero, tra maschio e femmina, tra greco e gentile. Tutti sono parificati di fronte a questa possibilità che viene offerta da Dio in Cristo per la salvezza. Non si tolgono le differenze sul piano storico-sociale, ma quanto al destino di vita e di morte, non c’è alcuna differenza. Quindi, c’è una certa limitazione della prospettiva, anche se naturalmente una eguaglianza così forte affermata in un certo ambito fa sentire i suoi riflessi anche al di fuori di quell’ambito ristretto.

Nella Lettera agli Efesini abbiamo la tradizione paolina che si interessa dei cosiddetti codici familiari. Nelle comunità cristiane delle origini c’erano problemi di rapporti, legati ai rapporti familiari e a quelli sociali. Nel capitolo 5, in quel testo famoso sui mariti e le mogli (5, 21), si comincia con un codice familiare: i rapporti tra mariti e mogli; poi si va avanti con i rapporti tra figli e genitori (6, 1-4); e poi abbiamo i rapporti sociali, con una tavola dei doveri e dei diritti corrispondenti in ambito sociale, dove la società del tempo era chiaramente divisa tra i padroni, i signori, e gli schiavi. L’autore comincia con l’indicare il dovere degli schiavi: “Voi, schiavi, siate obbedienti ai signori, kurioi, di questo mondo terreno, con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo”. Il paragone è tra l’obbedienza, per certi versi illimitata, verso i signori terreni e quella a Cristo. E’ una situazione dei rapporti sociali all’insegna della signoria, della schiavitù. Continua poi con il far valere in sede interiore, personale, i rapporti sociali. “E non solo nella vostra schiavitù, doulìa, che è sotto gli occhi di tutti”, cioè non solo quando esercitate il vostro servizio sotto l’osservazione diretta dei padroni, come persone che vogliono piacere agli uomini, ma operate “come douloi, come schiavi, servi di Cristo” – c’è anche un altro signore – “facendo la volontà di Dio con tutta l’anima, e servendo di buon grado come al Signore, e non come se fossero degli uomini, nella consapevolezza che ciascuno di voi, sia schiavo che libero, dovrà presentarsi davanti al tribunale del Signore, per ricevere la mercede delle vostre opere”. Questo Signore celeste è anche il giudice. Paolo insiste molto sulla sottomissione: sono ben quattro i versetti che accentuano la sottomissione, anche interiore, e che ne forniscono le motivazioni.

Poi si passa ai padroni: “E voi signori, kurioi, fate le stesse cose nei confronti degli schiavi”. C’è una parità, anche se molto relativa. “Come loro obbediscono a voi, voi comandate a loro, senza tiranneggiarli, sapendo che c’è nei cieli l’unico Signore, vostro e loro, e che presso di lui non c’è discriminazione”. La prospettiva è quindi quella di un Signore che è anche giudice e che non è parziale, che non guarda in faccia alla superiorità sociale degli uni e alla inferiorità degli altri. Qui abbiamo una eguaglianza, dice Rodano, non assoluta, perché c’è sempre il riferimento al Signore celeste, che è Cristo, ma anche ai signori terreni, i quali permangono. Sono tutti uguali davanti al Signore celeste, ma poi sul piano storico la discriminazione rimane. C’è questo riferimento al Signore unico nel cielo: i padroni su questa terra non sono padroni in senso assoluto, perché hanno a loro volta un padrone, un signore. Quindi, c’è un ridimensionamento della signoria terrena, non sul piano sociale, ma su quello più generale, esistenziale.

Altro testo che Rodano analizza è la Lettera a Filemone, questo biglietto che Paolo scrive come lettera di accompagnamento a Onesimo, che era scappato, forse anche con la cassa, derubando il padrone (c’è un accenno: Paolo dice: “Se lui in qualche modo è debitore a te, mettilo sul conto mio”), e che era arrivato, non si sa come, da Paolo, che era in carcere (non si sa dove, se a Cesarea o addirittura a Roma)) e si era convertito. Paolo lo chiama “il figlio che ho generato nelle catene”: lui che è “le mie viscere”, dice il testo con straordinaria potenza espressiva. E’ interessante notare come Paolo, il teorico per eccellenza, dal pensiero forte, si lasci spesso andare all’onda delle emozioni e dei sentimenti. Qui sono sentimenti di tenerezza; nelle lettere dove esprime la sua teologia, i sentimenti sono più aggressivi, di ira, di minaccia. Dunque, Paolo rimanda Onesimo al suo padrone, Filemone, che era il capo della comunità cristiana di riferimento, probabilmente Colossi; lo rimanda, nonostante che Onesimo avrebbe potuto essergli di grande aiuto; ma, dice Paolo, “ho deciso di non fare nulla senza che tu sia d’accordo”. E continua (vv. 15-16): “Infatti, per breve tempo Onesimo fu separato da te, affinché tu lo abbia di ritorno per sempre”. “E non più come schiavo, ma come più che uno schiavo, come un fratello amatissimo: per me e molto di più per te”. Per me è un fratello nel senso che è un figlio che ho generato nelle catene come credente; si tratta, quindi della fraternità tra credenti, in questo caso poi tra il padre della fede e il figlio della fede. Ma è un fratello carissimo molto di più per te, aggiunge Paolo, usando una formula divenuta oggetto di grandi discussioni, “sia dal punto di vista dell’esistenza terrena sia dal punto di vista dell’esistenza di fede”. Allora, non solo un fratello nel senso della condivisione della stessa fede, in Cristo, ma fratello anche dal punto di vista dell’esistenza terrena, sociale. Si discute molto se Paolo in questo modo voglia chiedere a Filemone la liberazione dello schiavo, oppure se si limiti a dire: trattalo in modo benigno, fraterno. A mio avviso, si tratta di una formula molto significativa: dunque, qui, in un caso concreto, ci sarebbe il superamento del rapporto servo-padrone. Però, dice Rodano, questi testi sulla eguaglianza, assoluta o soltanto fondamentale (per esempio, Matteo 23, 9: “Non fatevi chiamare Padre, perché c’è un unico padre, quello celeste”) sono testi limitati all’ambito religioso e che al limite contestano la signoria, presentano una antropologia antisignorile, ma non una antropologia non signorile, una antropologia di superamento, di uscita, anche sul piano sociale.

Invece c’è un testo, su cui Rodano insiste molto, la Lettera ai Filippesi, al capitolo 2, versetti 5-11, il famoso inno cristologico: naturalmente un testo religioso, che però tradisce una antropologia veramente non signorile, di superamento dello schema signore-schiavo. Propone cioè un’altra antropologia, assolutamente opposta: “Questo sia il vostro mondo interiore, come quello di Cristo Gesù”. Per alcuni esegeti qui Paolo vorrebbe dire: questo è il vostro mondo interiore (delle scelte, delle intenzioni, delle valutazioni), come persone che esistono in Cristo Gesù. Gesù non sarebbe il punto di riferimento, ma la sfera in cui si invita ad avere questo insieme di valutazioni. Oggi è ritenuta più probabile l’opinione che Cristo sia un punto di riferimento. L’atteggiamento che Paolo suggerisce ai credenti è di modellarsi su Cristo Gesù “il quale, sussistendo nella condizione di Dio (cfr. anche Galati 4,4: Paolo aveva la convinzione della preesistenza di Gesù nel seno del Padre, per usare un’espressione giovannea: Dio lo ha mandato in questo mondo), non ritenne rapina l’essere eguale a Dio”. Su questo termine, rapina, oggetto rapinato, si discute molto. Rodano, credo giustamente, richiama l’allusione a Genesi 3, dove Adamo cerca di rapinare l’eguaglianza di essere come Dio, qualcosa che non gli appartiene. Fa una nota molto interessante: in fondo, sostiene, l’essenza della signoria è il rapire e rapinare, con forza e con scasso, per così dire. Rapinare una posizione signorile. Gesù non ha rapinato, perché in lui sussisteva questa condizione divina: non aveva bisogno di rapinare qualcosa che non era suo. “Ma si è svuotato”. Rodano nota che alcuni traducono: “si è annichilito”, ma il vero significato è svuotarsi. “Ha svuotato se stesso della sua condizione divina, assumendo la condizione del servo”: lui che era il signore ha scelto di essere il servo. E qui instaura il parallelismo tra doulos e anthropos. Questo è il punto centrale per comprendere l’antropologia che sta dietro a questo testo. Si è fatto servo, cioè si è fatto uomo. C’è un unico Signore e tutti gli uomini sono servi, con-servi. Continua: “Si è abbassato (rispetto all’altezza divina), diventando obbediente fino alla morte, alla morte di croce”. Quindi, ha assunto la condizione umana da tutti i punti di vista, quella di un essere per la morte come è l’uomo, la caducità. E non una morte qualsiasi, ma una morte atroce, quella dei ribelli al potere, dei paria, degli schiavi. Seneca dice che la croce è “servile supplicium”, è la tortura riservata agli schiavi. Nel versetto 9 il testo paolino è binario: sono due quadri antitetici, l’abbassamento e l’innalzamento. Si è abbassato, è diventato doulos, uomo. “Perciò Dio lo ha superesaltato”. Per Rodano (che qui fa una osservazione corretta dal punto di vista esegetico), Paolo non si riferisce esclusivamente alla morte di croce, ma a tutto il processo dell’incarnazione. Ha fatto questa discesa, dai cieli sulla terra, “e perciò Dio lo ha superinnalzato e gli ha fatto dono di quel nome che è al di sopra di ogni altro nome per dignità, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, degli esseri superni, degli esseri terreni e di quelli infernali (che stanno sottoterra) e ogni lingua confessi a gloria di Dio Padre che Gesù Cristo è il kurios”. Lui è diventato il doulos e non è diventato doulos per diventare kurios, per se stesso. Questo aspetto signorile ultimo è un dono di Dio (Dio gli ha fatto dono, dice il testo). Cioè la condizione di assoluta libertà signorile non è un programma dell’uomo, da realizzare nella storia, ma è il dono di Dio.

Allora, per Rodano, in questo testo teologico-cristologico, ci troviamo di fronte a una antropologia non signorile, cioè una concezione dell’uomo che non è signore, ma è doulos, servo. Gli uomini sono servi, anzi sono conservi: il servizio è reciproco. Questo è tipico di Paolo, che ama un linguaggio paradossale, antitetico. La traduzione esatta sarebbe schiavo. E questa concezione del servizio reciproco andrebbe letta insieme a Marco 10, 45: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito”, per fare il signore, ma per fare il doulos, e dare la sua vita per la moltitudine degli uomini.

Servo vuol dire una condizione umana determinata dall’hic, non dall’assoluto. Il signore è colui che gode di piena libertà, che non deve sporcarsi le mani, perché ci sono gli altri a sporcarsi le mani per lui. Il limite del servo è costituito dal lavoro, ma il lavoro non è da intendere come una maledizione, nel quadro di un cristianesimo malato di assoluto. Il lavoro è un fatto positivo dell’esistenza di questi con-servi che servono reciprocamente nella società, per costruire una società non discriminatoria, per il bene dell’uomo. Quindi, il limite è positivo, in antitesi alla hybris, l’arroganza, l’orgoglio smisurato dell’uomo, il titanismo, che anche nel mondo greco era visto come elemento negativo, come fonte di grandi guai. Gli dei castigano la hybris degli uomini che vogliono scalare il cielo e fare gli dei.

Su questo concetto della reciprocità, su cui Rodano insiste, quindi anche sulla bellezza di un mondo in cui gli uomini sono gli uni servitori degli altri, vorrei richiamare per contrasto Galati 5, 13: “Voi siete stati chiamati alla libertà”. Rodano dice: uno degli elementi che caratterizzano la antropologia signorile è l’assoluta libertà, che nell’antichità era del signore e che Marx vuole fare la condizione di tutti gli uomini. La libertà come svincolamento, come non dipendenza reciproca., era il grande ideale del mondo greco, per cui la libertà veniva definita come non dipendere da, come essere un mondo autosufficiente, una monade in cui c’è tutto, senza né porta né finestra sull’esterno. “Voi siete stati chiamati alla libertà”, si legge in Galati 5, 13. Nel mondo greco l’eleuthería era una parola magica. Paolo l’assume (anche se la sua cultura greca non era molto profonda, viveva in quel mondo ed era influenzato da quella cultura) capovolgendola però in modo impressionante: “Ma state attenti che questa libertà non si tramuti in un pretesto per la carne”. Carne vuol dire in questo caso una esistenza egocentrica. E definisce così la libertà in Cristo: “Siate schiavi gli uni gli altri”. La parola che usa è proprio schiavi. In Paolo frequentemente ricorre questa idea della reciprocità. Non dice: siate schiavi alcuni di voi, mentre altri sono i signori. Dice: “Siate schiavi gli uni gli altri, non per forza, nella sottomissione, ma per amore, per una scelta”. Testo straordinario: la libertà non è lo svincolamento da ogni rapporto, ma l’accettazione di rapporti di dipendenza reciproca. Io dipendo da te e tu dipendi da me: questo rapporto è costitutivo del nostro essere ed è un rapporto che riconosciamo e che amiamo.

Vorrei tornare un momento sul concetto di hybris. Nella sapienza greca c’è l’idea che l’uomo è chiamato ad accettare il limite: della sua potenza, delle sue capacità, delle sue affermazioni. Quindi, l’arroganza, l’orgoglio titanico viene castigato dagli dei. Questo stesso elemento è presente anche nella tradizione ebraica. La condanna della hybris è presente in un testo bellissimo di Ezechiele (ne abbiamo uno corrispondente anche in Isaia), nel capitolo 28, dove oggetto di critica per la sua hybris è il re di Tiro, città marinara potentissima e ricchissima che dominava i mari. Ezechiele denuncia la hybris che nasce dalla potenza, dalla ricchezza: il tentativo di essere come un dio. “La parola del Signore mi fu rivolta dicendo: Figlio dell’uomo, di’ al principe di Tiro che così parla il Signore Iddio. Il tuo cuore (il tuo mondo interiore, il tuo pensiero) si è innalzato e hai detto ‘io sono un dio, dimora divina è la mia nel cuore dei mari’. Mentre tu invece sei un uomo e non un dio”. Potremmo tradurre ora: mentre tu sei servo, e non un dio. “Hai pareggiato il tuo cuore a quello di Dio, cioè nutri pensieri e sentimenti come sono quelli di Dio. La tua pretesa è di essere più sapiente di Danel (figura mitologica), nessun segreto ti è nascosto, con la tua saggezza e il tuo accorgimento hai creato la tua potenza. Hai ammassato oro e argento nei tuoi scrigni, con la tua grande accortezza e i tuoi traffici hai accresciuto la tua potenza e si è innalzato il tuo cuore per la tua potenza. Perciò, così dice il Signore Iddio: poiché il tuo cuore è pari al cuore di Dio, ecco farò venire contro di te degli stranieri feroci fra i popoli, sguaineranno le spade contro la bellezza della tua sapienza, profaneranno il tuo splendore, nella fossa ti faranno scendere. Ti sei innalzato in cielo, scenderai nella fossa dell’abisso. Allora ripeterai ancora ‘io sono un dio’ in faccia al tuo uccisore e invece tu sei un uomo, e non un dio”.

Ho esposto a grandi linee e spero fedelmente le linee di questa antropologia; una antropologia che risulta molto interessante, anche dal punto di vista dell’analisi di un testo teologico-religioso, nel cogliere l’identità tra doulos e anthropos: si tratta di una antropologia non signorile, che supera la concezione dell’uomo come signore, si tratti di alcuni uomini o di tutti gli uomini. Abbiamo qui la concezione di un uomo limitato, che accoglie la sua condizione di essere limitato nel mondo con amore, un uomo che lavora, perché il lavoro è la sua realizzazione nella storia, e non una maledizione, un uomo che è un servo reciproco, con-servo.

Un testo interessante, questo di Rodano, davvero una grande intuizione, non solo per il suo tempo, ma anche per il nostro tempo: un tempo in cui i segni della hybris, della signoria, e per di più di pochi sugli altri, si manifestano con sempre maggiore forza.

Raniero La Valle: Qui si pone una grande questione. L’interrogativo che ci dobbiamo porre è nel merito, cioè di quale sia il grado di verità di queste due antropologie, di quale dia più ragione dell’uomo. Noi parliamo di questo tema perché siamo in ricerca.

Giuseppe Barbaglio: In Lezioni di storia “possibile” Rodano dice: se questa antropologia di Paolo fosse stata tenuta presente, avremmo avuto un’altra storia. Invece, questo non è avvenuto.

Raniero La Valle: Chiediamoci perché questo non sia avvenuto. L’antropologia di Paolo di cui parla Rodano è la sua antropologia, la vera antropologia, per Rodano. L’antropologia signorile non è innocua. Storicamente non lo è stata mai, e tantomeno lo è oggi. E’ l’antropologia del signore che però suppone inevitabilmente l’esistenza del servo. In un certo senso Marx è utopico nel pensare che tutti possano essere signori. La realtà dell’antropologia signorile consiste nel fatto che inevitabilmente costituisce una società dualista, di signori e servi, perché se l’ideale dell’uomo è quello signorile, del realizzarsi nella fuga nell’assoluto, nel dedicarsi alle attività superiori (la conoscenza, la sapienza, la contemplazione) e quindi liberarsi dalle necessità della vita fisica, dai bisogni, considerati come una diminuzione, come un fatto di inferiorità, allora liberarsi dalla necessità significa essenzialmente liberarsi dal lavoro, inteso come pena. Per liberarsi dal lavoro, l’uomo lo deve addossare agli altri, e non lo può che addossare in modo servile, perché il lavoro degli altri serve alla realizzazione del signore. Allora non importa che la grande massa degli uomini si trovi in una condizione servile e che quindi non possa realizzare l’ideale umano del signore: è sufficiente che l’umanità si realizzi in alcuni campioni. Non è una antropologia contro l’uomo, è umana, perché considera la realizzazione dell’umanità in alcuni soggetti, che diventano pienamente uomini; però abbandona tutti gli altri Rodano critica questa antropologia per la sua distruttività, perché fa pagare questo prezzo a qualcun altro.

Giuseppe Barbaglio: E anche per un altro motivo. Critica il marxismo perché in fondo è un’evasione dalla storia e dai suoi limiti. C’è un duplice elemento: una antropologia signorile di alcuni sugli altri; e poi (ed ecco perché dal suo punto di vista mette sullo stesso piano il cristianesimo e il marxismo), perché si cerca, per un verso o per l’altro, di raggiungere l’assoluto. Per Rodano, invece, il mondo è bello, il lavoro è bello, il limite è bello.

Come mai non è avvenuto? Dice Rodano: se Paolo avesse tratto le conseguenze dovute dai suoi principi, avrebbe dovuto contestare l’assetto sociale ed economico. Invece, questa contestazione era praticamente illusoria; era qualcosa assolutamente fuori dalle possibilità del tempo. In qualche modo, fa responsabile il cristianesimo, che possedeva questi testi, di non avere accolto questa antropologia, e di avere invece inseguito l’antropologia del signore, la signoria, la ricerca dell’assoluto, anche se rimandata al di là della storia. Marx vuole raggiungere l’assoluto nella storia, ma tutti e due hanno questo ideale utopico, illusorio dell’assoluto. L’assoluto può essere il dono di Dio, ma non il traguardo ricercato. L’esistenza umana si organizza su questa terra attraverso il lavoro, nel servizio reciproco. E nel limite, cercare un cammino comune, ma senza traguardi assoluti, senza libertà assoluta. Proprio perché l’uomo non è un signore, ma un servo, in una dipendenza reciproca e eguale. In fondo, anche il signore del mondo antico dipendeva dalla schiavitù. Si dava all’ozio, che non era inattività, ma un’attività superiore, del pensiero, della musica, delle lettere, della poesia, della filosofia, della contemplazione, della sapienza: gli altri, gli schiavi, lavoravano per lui. Invece nella antropologia di cui stiamo parlando la dipendenza è reciproca ed eguale, tale per cui, se usassimo l’espressione di Paolo in Galati, in una certa situazione io sono il tuo schiavo e in un’altra il tuo signore. I ruoli non sono fissi una volta per sempre, ma cambiano a seconda delle situazioni, per cui c’è davvero una parità nel servizio reciproco.

Raniero La Valle: La questione che sta a cuore a Rodano è quella della eguaglianza, che Paolo rivendica. Perché l’ideale della eguaglianza che Paolo pone con forza non si realizza storicamente? Rodano dice che non si poteva realizzare storicamente, perché era impedito dalla antropologia vigente. L’antropologia signorile, fin quando è egemone, impedisce che si possa realizzare l’eguaglianza. Per questo il problema della antropologia diventa determinante. Non è che Rodano mette a confronto due modelli possibili di antropologia. L’antropologia signorile non dà ragione dell’uomo, non gli dà la possibilità di realizzare veramente se stesso, perché ha posto la realizzazione dell’uomo in un falso obiettivo, la realizzazione dell’assoluto: quindi è un’evasione. La società è necessariamente dualistica (signori e servi), ma anche l’uomo è dimezzato, perché se il signore pensa di realizzarsi solo nello sviluppo delle sue qualità superiori, questo significa che c’è un uomo superiore e un uomo inferiore dentro la stessa identità umana. L’antropologia signorile, che nega l’eguaglianza, nonostante sia finita la società signorile, in realtà è arrivata fino a oggi, si è riprodotta in una quantità di fattispecie, perché è una sorta di archetipo. C’è uno scambio di lettere tra Rodano e Del Noce in proposito. La società signorile non è una determinata società storicamente data, ma un tipo di società che attraversa tutte le società, dal mondo antico in poi e arriva alla massima aberrazione nel nazismo. Se non si smonta la antropologia signorile, l’ideale dell’eguaglianza affermato da Paolo non si può realizzare storicamente. Per questo il discorso dell’eguaglianza è possibile solo all’interno di una altra antropologia, alternativa: l’antropologia del limite, del servizio, della creaturalità, che dà ragione dell’uomo, perché prende l’uomo nella sua interezza e rende possibile una società diversa.

Giuseppe Barbaglio: L’interesse primario di Rodano è politico-sociale. Se voglio influire sulla storia e sull’organizzazione della società, il punto nevralgico da attaccare è l’antropologia signorile che è arrivata fino a oggi e che non rende possibile l’eguaglianza tra gli uomini. Non ha il coraggio di chiamare l’antropologia alternativa servile, ma dovrebbe farlo: nel senso di un servizio reciproco e eguale di conservi.

Raniero La Valle: Quello che è importante sottolineare è l’attualità e l’urgenza del problema che pone Rodano. Lui ragiona all’interno di un’opzione di carattere marxista, rivoluzionaria, contro il dominio. Si accorge però che anche il marxismo è tributario dell’antropologia signorile. Sembra dire: quello che non è stato possibile ai tempi di Paolo, è possibile oggi, solo se ci rendiamo conto di questo dilemma nel quale ci troviamo e se smascheriamo questa antropologia signorile che è arrivata fino a oggi e che è presente nella società in cui viviamo.

(segue dibattito)

(Testi non rivisti dall’autore)

1 Franco Rodano, Lezioni di storia “possibile”. Le lettere di san Paolo e la crisi del sistema signorile, a cura di Vittorio Tranquilli e Giovanni Tassani, Marietti, Genova 1986.

Vasti, seminario 1 Aprile 2001