Il tempo divora le cose, oggi soprattutto, nel fluire inarrestabile di tutto ciò che muta vertiginosamente nel costume e nelle certezze collettive. Il decennio trascorso da quando Giuseppe non è più tra noi, è, dunque, un lungo periodo a motivo di questa voracità, che nulla, tuttavia, può di fronte all’intensità del ricordo da lui lasciato e per le testimonianze dei suoi percorsi di cultura, ben noti e apprezzati soprattutto dai cultori di scienze bibliche. Lasciando ad altri, specialisti del settore, il compito di illustrare la figura del nostro compianto amico come uomo di studi e autore di volumi e di saggi accolti con elogi e attestati di stima, mi assumo il compito di evocare situazioni e tratti della temperie storica in cui si è inserita la sua vicenda sia di cultura sia esistenziale, in tempi non lontanissimi, ma dai quali – sempre per la voracità di cui sopra – sembriamo lontani anni luce. Il compito è arduo e andrà come andrà, ma forse ho qualche titolo per farlo.

Nati ambedue nella prima metà degli anni Trenta, dopo le elementari abbiamo avuto affiancati i nostri percorsi scolastici ed educativi nello stesso istituto seminaristico, struttura – allora – protetta saldissimamente e da secoli, almeno, cioè, dal Concilio di Trento in poi. Pur nella consapevolezza di quanto di positivo ho ricevuto, non posso sottrarmi almeno a questi due interrogativi. Primo. Cosa avverrebbe se tentassi (ma neppure ci provo!) ad evocare i ritmi e gli stili di vita in uso, allora, in quelle strutture, narrandone a quanti, in sparuti drappelli, ancora vi si trovano? Non sarei creduto, penso, oppure giudicato come uno che, decenni e decenni dopo, ama colpire lavorando di fantasia. Il secondo interrogativo è più serio e, come il primo, può e deve essere posto senza la minima volontà di cadere in critiche sterili o arroganti, ma tenendo conto, appunto, della temperie storica che si stava costituendo con fermenti e mutazioni di portata epocale. Sott’acqua molte cose ribollivano, ma l’impressione, che ora ne resta, è che nessuno, fra i potenti, volesse impegnarsi o uscire allo scoperto, né nella società civile né nell’istituzione cristiana.

Attenti a quanto avveniva nel gran teatro del mondo, molti di noi si interessavano alle novità, anche recondite o represse, delle situazioni, ma, scavando nella memoria, mi rendo conto ora che la sensibilità e la partecipazione, intellettuale e psicologica, di Giuseppe, erano di speciale intensità. E qui mi corre l’obbligo di porre l’accento su un tratto caratteristico della sua personalità, mai contraddetto – a quanto mi risulta – negli anni successivi a quelli a cui ora ci riferiamo. Giuseppe custodiva in sé sentimenti e pensieri di grande forza, monitorandone però l’espressione per non banalizzarli nella polemica rozza o sguaiata, come, purtroppo, spesso accadeva e accade. Elegante e distinto, quasi da sembrare lontano e staccato, non sempre riusciva ad essere inteso e valutato. Rivivo con emozione, a tale proposito, eventi importanti di quegli anni o anche di poi, e credo di non sbagliarmi nel giudizio che ho formulato.

Il decennio ben significativo, comunque lo si voglia giudicare, fu quello degli anni Sessanta, segnato da trasformazioni radicali negli assetti della cultura e delle istituzioni. Era impossibile avere amore alla vita e sensibilità culturali e non sentirsi partecipi di quanto avveniva nei vari ambiti della società, cioè nella politica, nel mondo del lavoro, nelle strutture scolastiche, fra le quali soprattutto l’università. La Chiesa, in quegli anni, si trovava in una specialissima situazione. Reduce, specialmente in Italia, da decenni di intesa con grandi gruppi, era però attraversata, al suo interno, da difficoltà assai gravi, ormai chiaramente avvertite da chi ne faceva parte, non importa se il posto a lui assegnato stava tra le panche o sul presbiterio. Giuseppe stava ancora a Lodi in quegli anni, con impegni, come teologo e biblista, sia in loco sia in istituzioni importanti per la loro fervida attività editoriale. Quel periodo fu importantissimo per la sua vita, soprattutto per l’impegno profuso negli studi e nella ricerca, dal quale nacque anche una fitta rete di amicizie e di incontri sempre più intensi e saldi. Si era, in fondo, in un remoto angolo di terra lombarda, e, forse, il contenitore era troppo piccolo per ciò che vi ribolliva. Avviene così nei periodi di transizione, specialmente dove si radica l’idea che, dopo la tempesta, verrà sempre la quiete, anzi che tutto sarà come se non fosse avvenuto mai nulla.

Non erano questi i pensieri dominanti in un ben noto gruppetto di intellettuali (nominandoli erano in molti a scuotere il capo), molto attenti a quanto avveniva nella società e nella Chiesa. Fra di essi a Giuseppe spettava un ruolo di primo piano e gli era riconosciuto, anche perché erano evidenti, in lui, doti di discrezione e di rispetto di fronte alla varietà delle opinioni e delle scelte di vita. Ripensando a quei giorni, non so se mi commuove o se mi fa tenerezza il ricordo della fiducia e dell’entusiasmo da cui, sia pure in forme molto diverse, si era raggiunti e allietati. Operava, nello sfondo, l’idea di un mondo ormai convinto di poter abbattere antichi errori e nequizie, sorretto, nel cammino verso le conquiste di questo traguardo, da un vincolo con Dio vissuto con spiccato amore per l’uomo, e con illuminata lettura dell’eterna, rivelata Parola. Si capiva che soprattutto quest’ultimo punto stava al centro di tutto e avrebbe orientato, in ogni caso, la vita di Giuseppe e il suo impegno negli scritti e negli studi.

Frattanto il ’68 viveva il suo decorso e maturava il suo destino; anzi si è ancora lontani dal poter dare un giudizio complessivo e sereno. Quanto al gruppetto, di cui sopra, avvenne, non senza difficoltà e lacerazioni, di disperdersi in molti rivoli, destinati a far scorrere acque diverse. Tante cose, infatti, sono avvenute e i sopravvissuti a quegli anni avevano fin da allora motivo di chiedersi cosa sarebbe toccato di vedere e di vivere in futuro, in un mondo in cui tutto sembrava destinato a mutare. Giuseppe si trasferì a Roma e si tuffò con il consueto impeto negli studi biblici, concentrando la ricerca sulle primissime fasi della vicenda cristiana, soprattutto per cogliere quanto grande sia stato, in essa, l’apporto dell’apostolo Paolo. Pur non esperto del settore, sentivo e sento un grande interesse per questi temi e ho seguito con costante attenzione gli scritti di Giuseppe, anche se solo come lettore di periferia. Mi colpivano soprattutto, nella trattazione, la chiarezza e l’efficacia del dettato, in un discorso ove nulla risultava vago o posticcio. Alla base stava, infatti, una impressionante ricchezza nella documentazione e nei dati, possibile anche per la padronanza delle lingue bibliche e di quelle in uso oggi.

Sono passati tanti anni e rivivo, nella magia del ricordo, quegli eventi ora risucchiati nelle penombre del tempo e così lontani, al confronto di ciò che accadde poi. Restino vivi i doni dell’amicizia, e ciò che ha condotto a salvezza. Tutto è grazia, e, al calar della sera, brillino nuove luci, così da giungere a ciò che, in tutta la vita, si è, insieme, cercato.

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Giuseppe Cremascoli, Lodi