Giuseppe Barbaglio, uomo libero. E’ stata la forte impressione che ho ricevuto fin dalle prime occasioni di incontro, di ascolto e di letture di suoi testi. Libero di pensare e di essere. Come lo ricorda Severino Dianich nel suo contributo su questo sito, Giuseppe Barbaglio aveva messo in esergo del suo volume Il pensare dell’apostolo Paolo (EDB, Bologna, 2004) una citazione di Albert Schweitzer: “Paolo è il santo patrono di coloro che pensano”. In quest’attrazione di Barbaglio per Paolo mi sembra di cogliere una componente essenziale della dinamica di questa sua libertà di pensare e di essere.
La libertà di Barbaglio, come studioso e teologo, si esprime nel rigore con il quale segue l’elaborazione della la teologia da parte di Paolo, passo dopo passo, lettera dopo lettera, con una grande erudizione, mai fine a se stessa, ma sempre finalizzata alla comprensione del testo in esame. E questa vasta conoscenza, non solo di Paolo, non rimane chiusa nei suoi numerosi volumi di alto livello accademico, viene condivisa con tanti gruppi appassionati di lettura della Scrittura, in tutta Italia e anche fuori d’Italia, come lo testimoniano i molti contributi qui raccolti. Barbaglio è anche sempre pronto a collaborare con riviste, periodici e pubblicazioni a carattere divulgativo.
Per Barbaglio, la teologia di Paolo si esprime interamente come risposte a situazioni concrete. Paolo diventa teologo nella comunicazione, nelle sue lettere, sollecitato dalle domande, dalle critiche, dagli attacchi provenienti da comunità e avversari. Ed è per rendere conto di questa realtà che Barbaglio sceglierà di esporre la teologia di Paolo non come ricostruzione a partire da temi trasversali alle lettere, ma come essa si presenta a noi, lettera dopo lettera. Dopo La teologia di Paolo, Abbozzi in forma epistolare (EDB, Bologna, 2001), la sua ricerca prosegue con Il pensare dell’apostolo Paolo (2004), per verificare “se i diversi abbozzi teologici presenti nelle diverse lettere hanno un punto focale attorno a cui si dispongono, oppure no”. L’elemento caratterizzante della sua proposta è lo spostamento dall’interesse per il “pensiero dell’apostolo”, come contenuto teologico, al “pensare” di Paolo, come processo produttivo. Dalla “teologia” di Paolo al suo “fare teologia”. Il “come procede” Paolo è rivelatore del suo messaggio.
Credo lo sia anche per Giuseppe Barbaglio, che si dice affascinato dal “fare teologia” di Paolo, come lo confida in una conversazione del 2005: “la [sua] straordinaria capacità di argomentare le sue prese di posizione. Scrivendo alle sue comunità non fa valere l’ipse dixit, non chiede adesione immotivata, fedeltà coatta alle sue tesi: intende, invece, convincere e persuadere i suoi interlocutori e lo fa ricorrendo ad una vastissima gamma di argomenti: la testimonianza delle Scritture ebraiche, la logica stringente dei sillogismi, la mozione degli affetti, ecc.” e si potrebbe aggiungere anche il vissuto autobiografico.
Un “fare teologia” creativo, in connessione con le questioni vissute, concrete e particolari. In questa vivacità, la coerenza dov’è? E’ da cercare in “una sempre nuova interpretazione del vangelo tradizionale perché diventi ‘Evangelo’, lieta notizia per i diversi ascoltatori della sua parola”. Così l’annuncio generico di Cristo morto e risorto, assume nuove significati. Viene “nominato”, dice Barbaglio, in modo variegato: “Vangelo dell’elezione gratuita dei gentili a Tessalonica”, “Vangelo della croce nella litigiosità dei Corinzi”, “Vangelo della rivelazione indiscriminante della giustizia di Dio ai Romani”, e ancora ai Romani “Vangelo della fedeltà divina a Israel”, oppure “Vangelo della libertà dalla legge mosaica di fronte alla minaccia in Galati” (vedi “Il pensare”).
Si coglie subito l’attualità della prospettiva di una teologia viva, attiva, creativa, che non si accontenta di attingere a un deposito di fede da trasmettere, ma che si sforza di farlo fruttificare, dando senso alle situazioni della vita comunitaria e personale, e permettendo di affrontare conflitti e nuove sfide. Questa dialettica del pensare, questa tensione tra la fedeltà all’origine, al vangelo trasmesso dalle prime comunità cristiane, e la pertinenza nell’attualità particolare ad ogni comunità, è una dialettica, alla quale nessuna generazione cristiana può sottrarsi. E se, nella forma epistolare, e dunque occasionale, viene evidenziato l’aspetto di dialogo di questo fare teologia, attraverso l’argomentazione che preserva il suo spazio alla libertà di ricezione, allora, il richiamo di questa prospettiva, messa in luce, vissuta e trasmessa da Barbaglio, come esegeta, interprete, teologo e soprattutto persona, è particolarmente benefico in tempi nei quali varie forme di intransigenza e di spirito di crociata si affacciano sempre più spesso, in nome di valori religiosi.
Giuseppe Barbaglio, uomo libero, nel pensare e nella vita, nella relazione. Anche nella vita quotidiana, la sua libertà è stata generosa, aperta a tanti, nell’accoglienza alla tavola di famiglia, nella condivisione di serate animate da conversazioni leggere e profonde insieme. Una libertà di “pensare”, ma a “banda larga”, con affetto ed emozione, coltivate in famiglia e nelle tante solide amicizie.
In questi ultimi dieci anni poi, oltre la dolorosa separazione, nell’occasione dei convegni organizzati da Carla, della loro preparazione, è proseguito con grande vitalità quello Barbaglio consideravo il suo compito di “studioso e divulgatore”: “moltiplicare la forza di questo testo autonomo (la Bibbia) che corre sulle strade del mondo. È nostro nel senso che è di tutti”.

Yann Redalie